Critica

La pittura di Paolo Panci tra sentimento pop e anima plastica.
di Loredana Finicelli

In un secolo di stravolgimenti estetici, dove l’estetica del brutto e la pratica del riciclo hanno costituito alcuni capisaldi intorno ai quali articolare il fare artistico, la Pop Art ha ristabilito il principio prioritario del bello come criterio irrinunciabile del godibile e del piacevole. Come prodotto della massa urbana, l’oggetto pop è stato rappresentato nelle sue forme desiderabili ma anche nelle sue degenerazioni consumistiche; è stato indagato nelle sue variabili edonistiche e nelle sue accattivanti proprietà formali, spesso elegantissime ma prive di sostanza concettuale.
In realtà, le linee di indirizzo che la Pop Art ha espresso negli anni sessanta sono ancora oggi oggetto di riflessione e rielaborazione e quei principi fondamentali su cui si incentrava la ricerca dell’epoca sono poi stati ampliati e riformulati, fino a comprendere tanti altri aspetti di un linguaggio che in qualche modo è sempre espressione di un mondo urbano, dominato certamente dalla ideologia del prodotto da acquistare ma privo di quelle idiosincrasie che proclamano lo straniamento dell’individuo perso nell’orizzonte della metropoli. Perché si può parlare di società post-industriale senza cadere nella retorica dello spaesamento o della perdita di riferimenti e si può parlare di spazi urbani senza necessariamente chiamare in causa l’isolamento dell’individuo e la sua perdita di contatto con i luoghi in cui vive e la sua comunità di appartenenza. Ma si può anche caricare il linguaggio pop, per sua natura bello ma asettico, lucido e sgargiante ma superficiale, di emozioni, di desideri, di aspirazioni e di moltissimo “cuore”.
Tutto questo preambolo credo possa servire a definire una cornice di massima entro cui si muove la pittura di Paolo Panci, artista post-pop dai sentimenti franchi e dai concetti spessi, che non soffre la dimensione urbana del vivere come spazio asfittico e straniante, ma al contrario ne fa luogo di una memoria sentimentale e di una rievocazione emozionata.
Nella sua opera ci sono temi ricorrenti che, di fatto, hanno a che fare con tutto un corollario di sentimenti e di emozioni riscontrabili in immagini dal taglio originalissimo e dalla interpretazione assai personale, per penetrare le quali, la traccia dell’artista e le sue indicazioni costituiscono un momento propedeutico indispensabile alla comprensione.
Per confrontarsi con le opere di Panci è necessario appropriarsi di una chiave simbolica in quanto l’approccio suggerito dall’artista è sempre riferibile all’alfabeto del concetto, foriero com’è di significati nascosti, disposti sotto una bella trama pittorica dipinta con una grande pienezza cromatica. Che siano scorci di città oppure oggetti quotidiani, elementi isolati del reale e ingigantiti secondo la scuola del miglior lessico pop, per poi essere mixati tra loro in soluzioni degne del miglior surrealismo e della geniale metafisica, quello che certamente, al di là dello spessore ingegnoso e del significato recondito, non manca mai nei quadri di questo artista romano è la dimensione emotiva e sentimentale affidata in primis al colore gagliardo, in secundis a un vigore plastico che dà forma vivida a questa dimensione dello spirito.
Le vedute di Panci, mappature a zona della città di Roma, sono vedute emotive vissute con il trasporto di chi guarda attraverso il filtro del ricordo e quindi dell’emozione e carica le vie, i palazzi, le intersezioni del proprio universo affettivo: l’alfabeto pop sembra regredire a un linguaggio elementare, quasi infantile, perché l’occhio di chi guarda finisce per coincidere evidentemente con la parte più spontanea e istintiva di chi crea. L’artista recupera uno stato emotivo che gli permette di realizzare mappe immaginarie, per quanto ancorate al reale, di una città vissuta principalmente con il cuore e solo successivamente filtrata dalla ragione, nel momento cui gli vengono associati concetti e significati sempre rintracciabili da immagini iconiche sparse qua e là sul quadro. Ma ciò che colpisce in queste mappe ingrandite, sono i tracciati delle strade che assumono la forma di un reticolo articolato e spesso, che delimita e segmenta tutta la superficie del dipinto, costituendo un tessuto di piccoli quadri nei quadri, ognuno con una sua specificità e un suo contenuto. Una trama fitta e nera che indica il reticolo stradale ma in realtà rimanda alle griglie di una gabbia, quasi un ribaltamento di quella giovialità a cui le opere di Panci rimandano. Come un qualsiasi rovescio della medaglia, infatti, anche le vedute più solari e sgargianti di questo artista che si connota per profondità di sguardo e coinvolgimento emotivo non possono tralasciare una riflessione per quanto inconscia e non troppo meditata su quelli che sono i muri, i limiti, i vincoli, appunto le gabbie del nostro vivere contemporaneo. Senza unirsi al coro di chi vede nella metropoli la morte dello spirito e nella modernità l’eclissi dell’umano, e mantenendo dunque una visione nel complesso accettabile del mondo che lo circonda, Panci, da artista avvertito quale è, non può non registrare che questo spazio odierno sia comunque il luogo di condizionamenti, di pregiudizi e di chiusure. Limiti umani vincolanti e discriminazioni neanche troppo sotterranee a cui le trame nere di molte opere sembrano alludere come rimando metaforico, pur nello splendore dei colori, nello sfavillio delle luci, nella grande vigoria plastica delle sue forme che rimangono il tratto vivido e immediatamente riconoscibile della sua pittura.


La mappa delle Emozioni di Paolo P.

Incontrare l’opera di Paolo Panci vuol dire intraprendere un viaggio dove linee, forme e colori riflettono un paesaggio interiore.

La logica di questi dipinti è quella di un vasto archivio del cuore dal quale le informazioni vengono selezionate ed organizzate sistematicamente per poi essere lette come catalogo di un paesaggio che trascende la mera descrizione, un inventario dell’ambiente circostante che consente di riscrivere la realtà in simboli.

Non può essere che così per l’artista romano che, sul piano grafico rappresenta spesso quartieri della sua città natale con elementi a scacchiera in una composizione segnata da forme ridotte ad una sorta di stenografia descrittiva.

L’artista lascia spazio al gioco di segni facendo precipitare la forma nel contesto e investendo di significato la struttura stessa della linea. Il geometrismo non toglie levità alle opere, ma suggerisce allo spettatore la visione di città immaginarie ed immaginate.

La pittura di Paolo P. nasce dal cuore, è espressione di una creatività istintiva, diretta, vissuta come necessità interiore.

Al centro di questa personale ricerca, il colore, funzionale al disegno, agisce da legante diventando fonte di dialogo tra le parti; il giallo, il rosso e l’arancione, ricorrenti nelle opere del Panci, presi per se stessi, danno liberamente ritmo alle forme che spesso sono definite con un tratto nero per ottenere suggestione ed espressività.

Sul piano grafico compositivo l’artista utilizza spesso la raffigurazione dell’occhio, figura ideale, mezzo per esprimere la propria visione del mondo e non come strumento per osservare la natura.

Le sue opere sono commoventi verità di sentimenti, in cui lo stretto rapporto tra segno, forma e colore genera composizioni che seducono l’anima, inquadrano come quinte una scena per far vivere allo spettatore sensazioni intime e profonde.

E allora, visitando la mostra, l’atteggiamento è quello di mettersi davanti ai suoi quadri disarmati per cogliere le “vibrazioni” che quelle forme e quei colori rivolgono all’anima.

Un repertorio che attinge a storie di vita personali, rivisitato con una sensibilità personalissima e originale che si esprime in opere che incuriosiscono, ipnotizzano, attraggono e al tempo stesso lasciano gli spettatori con un punto di domanda.

Magritte affermava «C’è un interesse in ciò che è nascosto e ciò che il visibile non ci mostra. Questo interesse può assumere le forme di un sentimento decisamente intenso, una sorta di conflitto, direi, tra visibile nascosto e visibile apparente.»